WWOOF

Diario Agreste – scritto n.8: sesta tappa, Molise

Questo scritto è il numero 8 di 11 dell'antologia Diario Agreste

L’autore nell’azienda sementiera. Trebbiature e macchine pesanti.

Mi lascio alle spalle l’Abruzzo in una giornata di tepore. Il familiare Intercity per Bari corre rapido verso sud e in un’oretta sono al confine regionale.
Alla stazione di Termoli mi attende Catia, puntualissima. Si chiacchiera amabilmente; ascoltandola colgo una cadenza familiare, troppo familiare per essere molisana. Il mistero è presto svelato: è veneta. Racconta di essersi trasferita con il compagno Olivier qualche anno prima.
Si parla delle emozioni e delle difficoltà del lasciare casa per trasferirsi in un luogo sconosciuto. Ci intendiamo subito.

L’azienda e l’arte di far semi

Arriviamo in azienda. Un edificio risalente agli anni sessanta del secolo scorso, è situato in pianura e circondato da campi, con un lato confinante con un uliveto. Mi viene spiegato come storicamente in questa regione gli agricoltori fossero di giorno soliti lavorare i campi, per poi di sera tornare alle loro residenze sulle colline. Le aziende agricole in pianura erano una rarità, l’azienda è infatti piuttosto isolata.
L’azienda è “sorvegliata” da tre affettuosi cani e un paio di gatti. Nibiru, Lola e Lady. Non ho mai scoperto il nome dei gatti.

Presto arriva Olivier, di ritorno dalla campagna. A bordo del suo trattore Kubota arancio fiammante mi da il benvenuto e ci sediamo a tavola per cenare. É di madre svizzera ma l’accento è genuinamente veneto (che è uno dei miei accenti preferiti, per inciso).
Catia e Olivier mi descrivono la loro attività in compagnia di un prosecco di tutto rispetto, fatto da un parente di Olivier.
In Molise da qualche anno, producono sementi biologiche per conto di una azienda svizzera. É un’attività che rende di più della semplice produzione di materie prime, con un impegno però maggiore. Lavorare con le sementi presenta le stesse sfide dell’agricoltura che tutti conosciamo ma aggiunge ulteriori complicazioni: oltre alla preparazione del terreno, alla semina, alla cura e alla raccolta si aggiungono le operazioni di separazione dei semi. A seconda delle colture si può trattare per esempio di fermentazione (angurie, meloni) o trebbiatura (porri, carciofi).
I semi vengono separati e conservati in grossi sacchetti di carta per essere successivamente spediti in Svizzera, dove verranno selezionati e testati per la germinabilità.

Ospite in camera, la mantide

Raccolta e trebbiatura

Con Catia si comincia piuttosto presto così da evitare il caldo, allo stesso tempo con un’umidità ideale. Il primo lavoro è la raccolta dei porri. All’apice di fusti alti oltre un metro svettano le infiorescenze; simili a dei grossi tarassachi (o soffioni, come li chiamiamo a Brescia), ondeggiano mosse dal caldo vento della mattina, ancora umide di rugiada.
Catia mi fornisce un sacco di cartone e un paio di forbici illustrandomi l’operazione: “Mano a calice, sostieni l’infiorescenza senza stringere. Tagli il fusto sotto, distanza 10 cm circa, e lasci cadere il fiore nel sacco. Attento a non scuotere troppo, i semi cadono. Occhio ai nidi di vespa“.
Un lavoro che richiede delicatezza: bastano una svista, uno strattonamento o solo urtare un fusto e decine di semi cadono a terra, dove sono introvabili, vanificando mesi di lavoro. Compiere questi gesti di persona aiuta a percepire tangibilmente il tempo e la fatica investite nell’agricoltura. La responsabilità è tanta. Il lavoro mi ha portato ad operare su reti complesse, dove un errore o una svista sarebbero costate migliaia di euro. Provo la stessa tensione.

Nei giorni seguenti familiarizzo con le diverse tecniche di raccolta e trasformazione. Olivier mi illustra le peculiarità del Kubota: giapponese, di ottima qualità. Tale scelta ha causato perplessità agli altri agricoltori, abituati alle marche europee o americane più note. Olivier è un ribelle del trattore.
Mi istruisce pazientemente in merito alle fasi di aggancio e sgancio degli accessori. “Attenzione a dove metti le mani” – mi mette in guardia – “L’attacco a tre punti è pericoloso, soprattutto nella parte del terzo punto dove hai il pistone. In agricoltura hai potenze elevate, gli organi sono idraulici: se ci metti una mano quelli non si fermano. Lo stesso vale per la presa di forza”. Deglutisco.
L’attacco a tre punti è quel particolare dispositivo meccanico dietro i trattori, usato come aggancio per gli attrezzi. La presa di forza invece è un elemento rotante che trasmette il moto all’attrezzo, tramite un cardano. Viene usata per attivare irroratrici, trinciatutto, seminatrici, etc.

Il Kubota dal dentista (cambio olio)

Utilizziamo una trebbiatrice collegata alla presa di forza per separare i semi di svariate piante. I porri raccolti pochi giorni prima, i carciofi, le carote. I raccolti sono stati separati e stesi su teli in plastica nel magazzino e nel prato antistante, così da essiccare al sole. L’operazione sembra semplice ma richiede coordinazione e attenzione: mentre Olivier spinge il raccolto verso di me, io “imbocco” la macchina, che trita tutto e separa la paglia dai semi. Catia controlla attentamente che i semi vengano setacciati dal crivello. La macchina ha crivelli intercambiabili con buchi di dimensioni differenti in base alla grandezza del seme e bisogna fare varie prove prima che setacci a dovere. É inoltre importante imboccare la macchina con la giusta frequenza: troppo materiale e i semi vengono separati male. Troppo poco, e i semi rimbalzano sul crivello. In ambo i casi finiscono nel sacco dello scarto. É un’arte.
Il carciofo è il più insidioso: punge quando raccolto e, quando trebbiato, solleva un pulviscolo che aderisce alla pelle o finisce nel naso causando ogni sorta di piacevole allergia.

Le cucurbitacee

Avrei potuto scrivere “meloni e cocomeri” ma vuoi mettere?
Queste piante necessitano di un metodo di estrazione dei semi differente. Il seme è infatti avvolto dalla polpa del frutto, a sua volta protetta da una scorza dura. La trebbiatura dunque non si applica.

Raccogliamo i frutti a mano, da terra, separandoli dai fusti e posandoli nei “beans”, o pallet box, contenitori impilabili piuttosto grossi. Olivier ci segue con il Kubota, fondamentale per spostare i quintali di frutto che raccogliamo.
Ci spostiamo vicino all’azienda, dove abbiamo allestito una “stazione di lavorazione” costituita da un piano in legno posato su casse per frutta. Muniti di coltello cominciamo a tagliare i frutti in fette e a separare la polpa dalla scorza. Abbiamo raccolto qualche centinaio di frutti, il lavoro richiede dunque svariate ore.
La polpa viene lasciata fermentare qualche giorno in una cisterna di plastica aperta. Questo fa sì che i semi, la parte liquida e la polpa si frazionino. I semi si depositano sul fondo e vengono piano piano separati con dell’acqua e dei setacci. É un metodo manuale e tradizionale ma molto efficace.
I semi vengono poi stesi e lasciati seccare al sole.

I pomodori

É la volta dei pomodori (solanaceae). Partecipo per la prima volta alla leggendaria e temuta raccolta. Vista spesso come una sorta di punizione, ne si sente parlare nelle seguenti declinazioni: “Ti mando a raccogliere i pomodori”, “ci son lavori più faticosi del tuo, tipo raccogliere i pomodori”, “ma va a raccogliere i pomodori”, etc.
Catia e Olivier si affidano ad una squadra di specialisti. Vengono dalla Puglia con un furgone e sono esperti in raccolta, potature e altre operazioni.
In sette, fianco a fianco, percorrono il campo coltivato con il frutto rosso. Chini, raccolgono e selezionano solo i giusti frutti e li depositano in secchi gialli. Il mio compito consiste nel dare supporto: saltello dietro di loro, scavalcando le piante di pomodoro, e sostituisco i secchi pieni con quelli vuoti, svuotandoli nei beans. Si lavora tutti insieme e nel giro di tre ore abbiamo riempito cinque beans.
Il mio nome, assai diffuso in Puglia, li induce a domandarmi se abbia parenti del sud.

La raccolta è solo la prima delle fasi di estrazione del seme del pomodoro. Dopo qualche giorno di stoccaggio in una grossa cella frigorifera è infatti il momento di separare seme e polpa. Per questa operazione utilizziamo una curiosa macchina di origine americana: piuttosto artigianale, consiste in un telaio fatto di lamiere saldate, una tramoggia e un setacciatore.
Molto similmente alla trebbiatrice, la macchina va “imboccata” poco alla volta con i pomodori. L’elemento rotante a fine tramoggia li schiaccia, così facendo la polpa rilascia acqua e i semini si separano per mano del setaccio, cadendo in un secchio.
Anche in questo caso l’operazione dura qualche ora, complici i frequenti blocchi della macchina: la buccia di questi pomodori è dura, è una cultivar specifica per la raccolta meccanica. Un pomodoro di troppo e l’elemento rotante si incastra.

Incontri

Nell’avventura molisana faccio conoscenza con diverse personalità peculiari. Mauro è la prima: genetista emiliano-romagnolo, è uno dei massimi esperti mondiali di pomodori. Parla in modo pacato, il tono di voce misurato. Gesticola con garbo mentre descrive episodi e aneddoti di vita vissuta. Il lavoro lo ha portato a viaggiare in diverse parti del mondo, in un’epoca in cui il turismo non era così diffuso. Scopro che il pomodoro che abbiamo raccolto è stato ideato da lui.
Si chiacchiera un po’, e gli racconto della mia avventura nel nord. “Interessante, soprattutto a livello climatico. Sarebbe bello testare delle colture su alle alte latitudini”. Si discute di serre e lampade per crescita di piante al chiuso e mi suggerisce diverse strategie. Si rivela molto spirituale, consigliandomi alcuni libri.

A noi si uniscono Friedemann e Noemi, lui tedesco e lei svizzera, che lavorano presso la sede in Svizzera come genetisti. Parlano entrambi un ottimo italiano, con la calma e la misuratezza germaniche.

É poi la volta di Luca. Anch’egli Emiliano-romagnolo, ha una presenza imponente, resa tale dalla voce baritonale e dai quasi due metri di altezza. Collabora anche lui con l’azienda di Olivier e Catia in veste di esperto di colture. Fonte di energia e dinamismo senza limite, fa da contraltare alla posatezza di Friedemann e Noemi. Ama raccontare, ogni occasione è buona per rievocare ricordi. Luca è chiaramente un abile cantastorie ed ha uno stile magnetico.

Cena insieme

Con Catia, Olivier, Friedman e Luca si va tutti a cena in un vicino paese sopra la collina. Noemi è già rientrata.
Il ristorante è indicato solo da una discreta insegna, la porta a vetri offuscati nasconde l’interno. Il locale è curato: pareti con mattoni a vista, soffitto con volta a botte, complementi d’arredo corredano il tutto; tovaglie di pregio coprono i tavoli in legno e svariate candele donano atmosfera. La posateria è abbondante, a corredo di un set di piatti e bicchieri invidiabile. Sul piattino più piccolo è presente quello che sembrerebbe un centrotavola. Non volendolo sporcare lo piego e poso sulla tovaglia, a fianco del piatto. Catia mi mette in guardia: “Non farlo. Il proprietario è molto attento a questi dettagli ed è solito rimproverare i clienti”.
Il proprietario ci accoglie serio, accenna un sorriso. Chef professionista, ci illustra il menu del giorno con trasporto e autorevolezza. Confesso di essere vegetariano, scusandomi di non poter accettare i salumi. Tra lo scherzoso e il severo mi apostrofa: “non credere di essere così speciale, di vegetariani ne serviamo parecchi”.
Attendiamo la cena in compagnia di un bicchiere di vino locale molto buono. L’alcool scioglie tutti ed è qui che Luca si scatena. Inevitabilmente, si finisce a parlare di donne. Racconta le sue esperienze da ragazzo in Olanda. Descrive con una certa grazia le sue peripezie senza scendere nei dettagli, il che rende la serata animata e divertente. Friedman, inizialmente imbarazzato, si lascia andare e ci si confronta sul diverso rapporto che gli uomini italiani e nordici hanno con le donne.
La mia opinione di “esperto di donne scandinave” (cit.) viene prontamente richiesta, ma deludo i commensali portando solo testimonianze indirette.
Una piacevole serata, insomma, con cibo e compagnia di qualità, come piace a me!

Il turista alle Tremiti

Nel mio soggiorno molisano riesco a visitare anche parte della Puglia, in anticipo rispetto alla tappa successiva. Catia e Olivier mi portano infatti al porto di Termoli, dove salpo alla volta delle Isole Tremiti.

Costituito da cinque isole, l’arcipelago delle Tremiti è l’unico del basso Adriatico, con San Nicola e San Domino le uniche due isole abitate, e Capraia, Cretaccio e Pianosa a completare l’arcipelago.

Riserva naturale, l’arcipelago è uno spettacolo, con calette e viste meravigliose, apprezzabili solo dal mare. Il mio personale consiglio è di evitare i barconi da sessanta posti e di optare per un tour con un piccolo operatore. Vi consiglio Pinuccio, con la sua barca Calypso. Una trentina di euro e vi farà fare bagni per ore, mostrandovi San Nicola e San Domino dal mare. Non trovo un sito ufficiale, queste info le ho scovate sul forum di Tripadvisor, ma ecco i numeri: 3289016638 o il 3386049213. Sono lui e la moglie Silvana.

Per scoprire di più delle Tremiti vi consiglio l’articolo del TCI.

Le difficoltà

Le due settimane con Catia e Olivier mi permettono di cogliere gli aspetti più problematici della loro attività. Sono una coppia affiatata, è evidente, ma l’ambiente circostante è demotivante. L’annata è stata per certi versi pessima (un leitmotif del mio viaggio), resa ancora peggiore dagli attriti con i vicini di campo. É infatti difficile confrontarsi con una realtà molto allineata ai dettami dell’agricoltura industriale, per loro che vivono di biologico. Talune pratiche, alcune delle quali legate a questo tradizionale modello, sono chiaramente insostenibili. Una di esse è la pessima abitudine di bruciare le sterpaglie. Tale pratica ha infatti causato a Catia e Olivier la perdita di sette ettari di erba medica pronta alla raccolta, il tutto a causa della sbadatezza di un vicino intento a dar fuoco a delle ramaglie.
In Molise la questione è ulteriormente aggravata dal lento sfaldarsi del tessuto produttivo agricolo, causato dall’inesorabile estinguersi delle piccole attività. In parte il diminuire dei contadini con la spinta sul terziario, in parte gli investimenti mal gestiti e “misteriosamente perduti”, il settore agricolo si contrae in una spirale preoccupante.
La natura di queste trasformazioni è tale che gli effetti sono a lungo termine, lenti e inarrestabili. Sarebbe bene che il governo italiano prendesse nota del dramma all’orizzonte e intervenisse implementando misure correttive. Senza primario questo paese non va avanti, e il disagio che manifestano gli agricoltori non può continuare a passare inosservato.

I saluti

Giunge al termine la mia avventura molisana. Lascio Catia e Olivier, promettendo di riincontrarli. Li ringrazio di cuore per la bella esperienza e per avermi fatto conoscere un settore affascinante, quello della produzione di semi.
A presto!

Naviga nell'antologia Diario Agreste << Diario Agreste – scritto n.7: quinta tappa, Notaresco, AbruzzoDiario Agreste – scritto n.9: settima tappa, Puglia >>

Nicola “spidernik84”, si è trasferito nel Settembre 2010 a Stoccolma, in Svezia. In questo blog troverete il resoconto della sua avventura in terra scandinava, un lungo viaggio alla ricerca di un impiego e di nuove opportunità, ricco di avventure inconsuete e testimonianza delle sorprese che un trasferimento all’estero presenta. Ad inizio 2019 lascia temporaneamente la Svezia per un periodo sabbatico nel circuito WWOOF.