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Diario agreste – scritto n.4: seconda tappa, Raveo, Friuli-Venezia Giulia da Pecoranera

Questo scritto è il numero 4 di 11 dell'antologia Diario Agreste

L’autore a Raveo da Pecoranera. Serre, autosussistenza e vita agreste

Sono in viaggio da Verona alla volta di Raveo, Friuli, nel cuore della Carnia. Obiettivo della missione: incontrare Devis “Pecoranera” Bonanni.
Ex Informatico, Devis ha deciso una decina d’anni fa di lasciare l’ufficio per dedicarsi anima e corpo ad un progetto di autosussistenza, appunto Progetto Pecoranera. Ha raccontato del percorso in due libri, “Pecoranera – Un ragazzo che ha scelto di vivere nella natura“, e “Il buon selvaggio – Vivere secondo natura migliora la vita“, entrambi editi da Marsilio.
A dieci anni di distanza da quella importante scelta, Devis gestisce con la compagna Monica un’attività agricola in piccola scala, producendosi buona parte del cibo.
La sintonia di idee e di percorsi professionali mi spinse anni fa a contattarlo via e-mail. Devis fu così gentile da rispondermi. Ricordo bene le mie parole: “chissà se un giorno ci incontreremo”. Ora, complice il mio viaggio wwoofing e la gentile disponibilità di Pecoranera, quel giorno è arrivato.

Il viaggio

Il viaggio procede tranquillo, con il regionale veloce che mi porta comodamente a Venezia Mestre. Passeggio senza meta e attendo il prossimo treno, pensando all’avventura che mi aspetta.

Lascio il capoluogo Veneto e sono ad Udine con puntualità. Esploro i dintorni alla ricerca dell’autostazione dei bus, da cui partirò.
Ho due ore, approfitto dell’attesa per mangiarmi un non troppo memorabile trancio di pizza per strada, visitando il centro del capoluogo friulano. La città è notevole, rivelandosi una piacevole sorpresa, ricca di edifici medievali e con un centro pedonale molto a misura di abitante. É d’obbligo un gelato in piazza, dove mi riposo baciato dal sole.

Il mio equipaggiamento d’ordinanza – cappello in paglia semiscucito, scarponi infangati, doppio zaino 40+10 litri, cintura con colori e bandiera nazionale del Canada – contribuisce ad attirare un misto di curiosità, timore e vil disprezzo al quale mi sto pian piano abituando.

Giungono le 16.00 e l’autobus lascia l’autostazione, diretto a Tolmezzo. Ho la compagnia di tanti studenti chini sui loro smartphone o intenti ad ascoltar musica. Rifletto sulla virtuale impossibilità di scambio con le nuove generazioni: dall’inizio del viaggio ho socializzato solo con adulti, soprattutto turisti canadesi – complice la cintura descritta poco sopra.
Tolmezzo, dicevo: poco più di diecimila abitanti, è il capoluogo de facto della Carnia. Giunto in autostazione ho un’oretta di attesa per il prossimo autobus che mi porterà a Raveo. Mi accomodo in sala d’attesa, sempre destando la consueta curiosità tra gli studenti e gli altri passeggeri.

Far West a Tolmezzo

Sono immerso nella lettura di un libro. D’un tratto, distrattamente, colgo alcune parole: “hai problemi? eh, hai problemi? Cosa fai altrimenti, cogl*one!”. L’insulto pesante è consuetudine anche tra noi bresciani, per tanto non mi stupisco . “Faranno così anche in Friuli”, concludo.
Alzo lo sguardo, sorrido, e mi rendo presto conto della serietà degli insulti. Di fronte a me una scena da Saloon del far west: un uomo dai tratti mediorientali sta avendo un alterco con un italiano con troppo alcool nel sangue. L’italiano brandisce una bottiglia di birra. Lo straniero viene spintonato più volte e tenta invano di attirare l’attenzione dell’impiegata nella biglietteria alzando le mani al cielo e indicandole l’aggressore. L’uomo non riceve aiuto, decide dunque di far da sè dirigendosi verso un enorme estintore all’angolo della stanza. Si avventa sull’oggetto, afferrando la lancia e tentando di spruzzare schiuma contro l’aggressore. Tentativo che fallisce. I due vengono alle mani e durante la colluttazione l’ubriaco lascia cadere la bottiglia, che rimbalza senza rompersi e si mette a roteare in volo. Due signore anziane, sedute a chiacchierare, non hanno scampo e vengono investite da un copioso getto di Birra Moretti. L’indiano approfitta del parapiglia e si lancia verso la porta, spingendo il maniglione antipanico e volatilizzandosi a gambe levate. L’ubriaco lo insegue. Una delle signore, irritata e in stato di shock, agita l’indice nell’aria lamentandosi con la consueta compostezza che contraddistingue le persone di tale età: “disgraziati!!!”. La scena si svolge con tale celerità che nessuno ha modo di intervenire.

Lascio sommessamente il luogo del crimine per prendere l’autobus, che è però assente dalla pensilina. Confuso, chiedo lumi agli autisti nella piazzola. Mi spiegano che la strada è bloccata da alcuni massi caduti la sera prima e mi indicano un altro bus che farà un giro più lungo, passando però dalla mia meta, Raveo. Ringrazio e salgo a bordo.
Il mezzo si inerpica su per svariati tornanti, attraversando budelli larghi appena il necessario per farlo passare. L’autista conduce l’ingombrante veicolo con leggiadria, facendolo sgusciare tra un edificio e l’altro.

Molto gentile, mi chiede cosa porti un forestiero con cappello alla fine del mondo. “Stai quindici giorni? E che fai a Raveo così a lungo? Sei qui per turismo?”. Spiego di esser diretto da un certo Devis, e subito si illumina: “oh sì, Devis, quello delle serre! Ah sì sì lui abita poco più in su”. Poco dopo si uniscono gli altri passeggeri: “Certo, quella è casa dei suoi, lui abita davanti con la sua ragazza, Monica. Ecco, là!” mi indicano con il dito. “Monica, sì sì, è bella eh! É proprio una bella ragazza! Lei non è di qua. Fai il bravo eh che Devis si arrabbia!”. Sono frastornato, ormai disabituato a tanta socialità, ma dentro di me rido divertito. Ringrazio e saluto tutti, scendendo alla piccola fermata del bus. “Buona fortuna!”.

L’arrivo

Ad aspettarmi c’è Monica, seduta sulla panchina della piccola fermata. Mi accoglie con il sorriso e iniziamo a chiacchierare. A dire il vero sono più io a parlare e mi scuso, spiegando di non aver dialogato con nessuno dalle nove di mattina.

Nel mentre la accompagno a ritirare il latte da una allevatrice del luogo. Attorno a noi prati e montagne circondano il piccolo paese. Non si vede anima viva, ma il panorama è magnifico e il silenzio regna.

Ci rechiamo a casa, il loro appartamento è stato di recente rinnovato. Monica mi spiega che Devis è alla serra nuova con il wwoofer Marco, arriveranno presto.

Nel frattempo mi godo l’accogliente ambiente. La cucina è in legno e si sviluppa intorno ad una possente termocucina. Monica descrive l’impianto: l’acqua è scaldata da un pannello solare termico e la termocucina fa il resto quando il sole non basta, d’inverno. La termocucina ha inoltre uno sportello per la cottura di pietanze al forno e un piano in ferro per le pentole e le padelle. Per loro che hanno legna propria è la scelta più economica. Ammette di aver desiderato molto queste modifiche: la casa ha parecchi decenni e la mancanza di un cappotto isolante esterno e di un impianto moderno si faceva sentire.

Ci raggiungono Devis e Marco. L’incontro è surreale e affascinante: Devis è la prima persona che incontro dopo averne letti i libri. Mi stringe la mano e da il benvenuto, chiedendomi brevemente del viaggio e della mia vita in Svezia.

Ceniamo tutti insieme con una buonissima polenta, fagioli, tante verdure fresche e succo di mela. Monica e Devis sono fedeli ai propositi del progetto di autosussistenza e producono molte verdure, frutta e legumi. Mi spiegano di coltivare mais, frumento, pere, mele, pesche, oltre alle classiche verdure da foglia. In aggiunta hanno noci e noccioli ed alcune galline ovaiole. Il pane lo prepara Monica con la farina ottenuta dal loro frumento, macinata da un mulino poco distante. Similmente la polenta. Il succo è delle loro mele, pastorizzato da una persona del paese. Le marmellate e il miele sono anch’esse prodotti di casa. Monica è fiera delle sue arnie, e tradisce una genuina passione.

Chiacchieriamo tutta sera ed è come se avessi ritrovato amici di vecchia data. La sintonia è immediata e lo scambio edificante. Tra un bicchier di vino e una fetta di polenta comincio a conoscere i compagni d’avventura. Di Devis e Monica so già molto grazie ai libri letti, scoprendo dettagli del loro viaggio che per forza di cose non hanno trovato spazio tra le pagine: le difficoltà dell’adattarsi alla nuova vita, per Monica che è di Bologna; le frustrazioni date dai capricci del clima, specie quest’anno dove la primavera si fa desiderare; le fatiche di una vita dove è appunto la natura a comandare, e dove si è molto ancorati al territorio e al progetto; il mutare delle aspirazioni con l’avanzare dell’età adulta. Marco è psicologo, anch’egli bisognoso di staccare da una vita d’ufficio. L’assenza di una tv nel soggiorno e la pacatezza dei commensali permette discussioni piacevoli.

Saluto per la notte e prendo posto in mansarda. Le travi a vista e il legno a profusione donano un che di rustico all’ambiente. Mi infilo sotto le coperte e sprofondo in un sonno ristoratore.

I lavori e conoscendo Devis

La sessione di lavoro comincia in serra. Ci lasciamo alle spalle casa, incamminandoci per il paese tra viuzze strette, fiancheggiate da belle case tradizionali con legno e rocce a vista. Ancora nessuna anima percorre queste strade, siamo solo noi tre contadini, vanghe in spalla, guanti da lavoro e stivali, diretti verso l’ultima creazione del progetto Pecoranera. L’aspettativa è grande.

Dopo una camminata di quindici minuti nel verde del bosco emerge all’orizzonte l’imponente struttura: una quarantina di metri di lunghezza, la serra si staglia massiccia in un ribassamento del terreno, adagiata lungo un terrapieno naturale. É fermamente ancorata al suolo, solida grazie allo scheletro in acciaio. Un progetto ideato da Devis su ispirazione delle serre cinesi, è per metà costituita da archi, per metà da tubi diritti. Una serie di architravi in legno sorregge il centro della struttura, che trasmette solidità. Qui troveranno spazio le piante di pomodoro e altre colture.

Devis accetta timidamente e con umiltà i miei complimenti. Mi confessa che il progetto si è rivelato troppo ambizioso: i lavori di montaggio proseguono da tre mesi, le modifiche sono state costanti e il lavoro manuale è stato più del previsto per piegare i raccordi della struttura e interrare i pali. Ha dubbi sulla tenuta, soprattutto per il vento: il telo in plastica è soggetto all’effetto vela e rischia di portarsi via tutto. Il peso dell’angoscia ha reso il sonno difficile a Devis, il costo non monetario è stato inaspettato. Insomma, burnout da serra.

I primi giorni di lavoro sono infatti concentrati sull’installazione di tiranti lungo tutta la copertura, così da tenere il telo al suo posto. Io e Marco in basso, Devis sul tetto, ci lanciamo le matasse di cavi per passarli lungo gli archi a comporre un motivo a zig-zag. Devis rischia spesso di scivolare dal tetto, complice il telo bagnato, e impreca in friulano stretto.

I restanti giorni alterno lavori di carpenteria leggera e orticoltura nel campo: vanghiamo il terreno incolto per formare i letti dei pomodori e trapiantiamo le giovani piante; seminiamo zucche e mais in campo aperto; sistemiamo le reti per i piselli; diserbiamo a mano per liberare le giovani piantine di legumi dalla concorrenza delle infestanti.

Il lavoro più curioso è la preparazione dei pali in legno, necessari alla crescita dei fagioli: armato di ascia, sviluppo piano piano una crescente dimestichezza con lo strumento e divento più veloce nell’operazione di affilatura. Abbatto l’ascia con crescente precisione sui rami che diventeranno pali, preparandone in serie e legandoli in fasci da dieci. É un lavoro fisico, concreto, che da adrenalina: vedere la corteccia sfogliarsi, sentire il legno sfaldarsi, e le lance prendono forma. Una soddisfazione che negli ultimi anni ho provato di rado nella mia professione, così virtuale e sfuggente, priva di manualità se non fosse per il sempre più raro assemblaggio dei server. Forse complice lo stare all’aria aperta, mi sento rilassato e realizzato. Stanco e soddisfatto.
Il tutto è reso più piacevole dall’attività del biscottificio di Raveo: più volte al giorno, in concomitanza con l’infornata dei frollini, il vento porta il profumo di biscotti appena sfornati.

Per giorni Devis mi insegna trucchi e dritte. É con i gesti sicuri e precisi di chi ha nel tempo imparato ad arrangiarsi e a non fermarsi di fronte al freddo e alla fatica che condivide le sue tecniche. Non parla molto Devis, è una persona riservata. Dà indicazioni chiare, sposta legna e muove materiale con semplicità e forza. Ogni tanto sparisce con il decespugliatore o con la motosega e fa ritorno dopo un po’, soddisfatto. É con la motosega in mano che trova il suo spazio di riflessione, forse. Spesso serio, forse i pensieri attraversano la sua mente, o forse è solo concentrato sul compito. Non ho modo di saperlo. Mi limito ad ammirare la sua determinazione ed è guardandomi attorno – osservando le serre, il campo, il frutteto – che colgo la profondità e l’importanza del progetto portato avanti per così tanti anni con Monica.

Il mio periodo a Raveo trascorre così, sentendomi parte della loro famiglia e assaporando i prodotti dei loro sforzi. Lascio così anche la Carnia, gli occhi lucidi e il proposito di tornare. Abbraccio Devis e ci stringiamo la mano. Non sembra molto avvezzo al contatto fisico, ma penso apprezzi. Monica ride di fronte alla scena del suo coriaceo Pecoranera che abbraccia un po’ incerto un compagno di viaggio. “Sento che ci rivedremo, Nicola. Fai buon viaggio!”. Ciao ragazzi, grazie.

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Nicola “spidernik84”, si è trasferito nel Settembre 2010 a Stoccolma, in Svezia. In questo blog troverete il resoconto della sua avventura in terra scandinava, un lungo viaggio alla ricerca di un impiego e di nuove opportunità, ricco di avventure inconsuete e testimonianza delle sorprese che un trasferimento all’estero presenta. Ad inizio 2019 lascia temporaneamente la Svezia per un periodo sabbatico nel circuito WWOOF.