Mixed Thoughts,  Svezia

Diario Agreste – scritto n.11: Il ritorno in Svezia in Treno

Questo scritto è il numero 11 di 11 dell'antologia Diario Agreste

L’autore ritorna in Svezia dopo l’anno sabbatico. Il racconto del viaggio in treno dall’Italia verso il Nordeuropa, con un breve detour.

Nota d’apertura

Questo articolo viene pubblicato molto tardi rispetto alla data degli eventi narrati. Si tratta infatti del viaggio di rientro in treno, avvenuto ad inizio 2020, dopo il periodo sabbatico in Italia (esperienza raccontata nel diario agreste).
Per quanto la bozza fosse stata scritta già nel 2020, l’intero articolo non ha raggiunto una forma presentabile fino ad oggi. È stato oggetto di svariate revisioni, aggiunte e sottoposto ad un’incessante opera di cesello. Dopo quattro anni i ricordi hanno richiesto parecchio sforzo per riaffiorare e colmare i vuoti della bozza iniziale. Buona lettura.

Milano – Marsiglia

Giungo a Milano Centrale un’ora e mezza prima della partenza. Non voglio correre il rischio di perdere il primo treno, viste le numerose coincidenze successive. C’è comprensibile agitazione.

La stazione è relativamente deserta, complici la giornata lavorativa e la bassa stagione. Uno scenario inatteso, ormai abituato a viaggiare per le principali stazioni durante il periodo di massima affluenza turistica.

Decido di coronare la lunga permanenza in Italia con un espresso da manuale, l’ultimo caffè dopo un anno in Patria. Mi dirigo verso uno dei numerosi bar della stazione e comprendo all’istante di dover ridimensionare le mie aspettative: la barista carica il portafiltro con del caffè premacinato da chissà quanto, pressa alla buona e avvia l’estrazione con svogliatezza. Ne risulta un caffè dimenticabile. Pazienza.

Mi reco presso il binario indicato dal tabellone. Il treno Thello per Marsiglia St. Charles è già in attesa presso la piattaforma. Pochi viaggiatori, tre per carrozza. C’è chi si chiede se sia il treno giusto. Un altro passeggero mi conferma che è abitualmente pieno, ma non oggi.

Alle 11.10 si lascia puntuali Milano Centrale alla volta della Francia. Arrivo oltralpe previsto per le 18.31. La strada è tanta e le fermate numerose.
Il convoglio è comodo, composto da carrozze dotate di tutti i comfort: climatizzazione, sedili ergonomici, prese di ricarica e servizio bar.

Non è una linea ad alta velocità, aspetto che consente di godersi appieno il panorama: il treno attraversa la Lombardia passando da Pavia e Voghera, imbocca il Piemonte e arriva infine in Liguria, facendo sosta a Genova.
La vista è notevole, con gli Appennini che fanno da cornice al capoluogo Ligure.

È però il tratto costiero che rende il lungo viaggio meritevole di essere intrapreso: da Alassio a Sanremo, da Monaco a Nizza per poi passare da Cannes, è un susseguirsi di palme e magnifiche ville baciate dal caldo sole di Febbraio. Complice la primavera anticipata, è possibile godersi un panorama verdeggiante e già macchiato dagli accesi colori dei primi fiori. Il Mediterraneo si staglia a sinistra del convoglio, la vista si perde. Presto il treno devia verso l’entroterra, rivedrò il mare arrivato a Marsiglia.

Un viaggio in treno permette di apprezzare il lento mutare dei luoghi e delle culture: a Ventimiglia compaiono i primi cartelli bilingue in Francese e Italiano, così come le insegne dei negozi. Si notano le leggere differenze nei segnali stradali, nelle pubblicità, nelle pensiline delle stazioni.

Le ore passano veloci in compagnia di un libro. È ormai sera, abbiamo viaggiato sette ore. Il treno fa il proprio ingresso nella stazione principale di Marsiglia, Saint Charles.
Mi sgranchisco le gambe, imbraccio gli zaini e mi oriento. Percorro le vie della città alla ricerca del mio albergo. L’aria umida e salmastra da città di mare avvolge una Marsiglia trafficata, popolosa e rumorosa. Il rombare dei motorini e i clacson provengono da ogni direzione.
Cammino un po’ impacciato, complice l’ingombrante carico, attraversando viuzze e piazzette che mi conducono infine all’albergo.

Apro la porta in legno, un cigolio annuncia il mio ingresso. La reception è desolatamente vuota, illuminata da un vetusto lampadario in cristallo. Il silenzio è interrotto dal ticchettio di un vecchio pendolo.
Suono il campanello sul bancone, dalla cucina giunge un “oui” lontano; la proprietaria mi accoglie sorridendo: “bienvenue a Marseille. Nicolà?”. “Oui, c’est moi”. Mi consegna le chiavi e consiglia un ristorante in zona. La ringrazio e mi dirigo verso la camera.

L’albergo ha una conformazione curiosa: la scala si arrampica lungo le pareti di un androne centrale, sul quale si affacciano le porte delle camere. Per un particolare effetto ottico sembra avvitarsi e restringersi mano a mano si sale verso il soffitto. Mi aspetto di trovare una piccola porta come Alice del Paese delle meraviglie.
È sera e le luci sono spente, situazione che mi obbliga a muovermi nell’ombra, felino. Lascio che le mie pupille si adattino all’oscurità, il bagliore verdognolo delle luci di emergenza è la mia unica guida.
Trovo infine la camera. L’albergo ha chiaramente parecchie primavere alle spalle ma la camera è onesta e razionale. Tempo di una doccia e sono fuori a cercare il ristorante.

Percorro la Canebière, la via della canapa. Prende il nome dalla preziosa pianta, coltivata massicciamente fino all’inizio del secolo scorso e utilizzata soprattutto per il cordame nautico. Marsiglia era una delle città più importanti per la compravendita di tale risorsa.
La via conduce al vecchio porto, decido però di svoltare in una traversa laterale, Rue du Théatre Français.
Vedo l’insegna del ristorante consigliatomi dalla signora dell’albergo e mi incammino. “Tête de chou” – “Testa di cavolo”. Moderno e sobrio, il ristorante è vuoto. Mi siedo e ordino un piatto di pesce e ovviamente del vino bianco.
Mi viene portato un piatto semplice, decorato con verdure cotte. Me lo gusto con piacere, in silenzio.

Finisco la serata con una passeggiata per il Vieux Port, il vecchio porto. Con una lunga storia già a partire dall’epoca pre-romana, il porto è stato il cuore pulsante delle attività commerciali della città. Oggi è il centro della vita sociale della città francese, ricco di locali, bar, brasserie e negozi. Vale la pena passeggiare e ammirare questo mix di tradizione e modernità.

Presto me ne torno in albergo, preparo gli zaini e imposto la sveglia per domattina. Il treno per Barcellona mi aspetta, partenza alle 8.00.

Marsiglia – Barcellona

Lascio l’albergo di prima mattina e cammino per le strade della città, ancora immersa nel torpore. Attraverso Boulevard d’Athenes e salgo la scala monumentale che conduce alla stazione, l’Escalier monumental de la gare de Marseille-Saint-Charles, ricca di sculture allegoriche.

Ho un’ora circa prima di partire e la dedico ad una semplice colazione a base di croissant e cappuccino.
Viene finalmente annunciato il binario e salgo a bordo del treno alta velocità Renfe, destinazione Madrid con stop a Barcellona.
Le carrozze sono di ottimo livello, con poltrone comode e spaziose, interni moderni e climatizzazione perfetta.
Il viaggio si svolge in totale tranquillità e da Marsiglia a Barcellona è un baleno: con punte di 295 km/h siamo nel capoluogo catalano in quattro ore e trenta minuti, puntualissimi.
La stazione di Barcelona Sants è, vista esternamente, forse una delle più anonime ed essenziali. Ciò si deve alla relativamente giovane età – è stata costruita negli anni settanta – e alla filosofia progettuale: molto simile ad un aeroporto, fa del minimalismo e della funzionalità il suo vanto. Pur essendo una stazione molto trafficata è al contempo spaziosa e luminosa.

Mi attende Xavier, collega ai tempi del mio precedente lavoro. È da più di un anno che non ci vediamo. Gentilissimo, mi è venuto a prendere in auto e mi farà da cicerone per i prossimi giorni a Barcellona.

Mi lascia in ostello, dove mi sistemo e cambio. Ho deciso di soggiornare in una camera da otto letti, un po’ per sperimentare, un po’ per risparmiare.

Trascorriamo un paio di giorni insieme, visitando ristoranti e luoghi pittoreschi della città catalana.
Approfitto del tempo libero per un giro turistico: l’immancabile visita a Park Güell, la Sagrada Familia, las ramblas.

Barcellona è una città viva, caotica e ricca di storia, con una cultura del cibo notevole. La socialità dei locali e l’anima internazionale la rendono una meta ambita da molti. Comprendo il perché della positiva reputazione.
Resto purtroppo giusto pochi giorni, conclusi i quali saluto Xavier con un abbraccio.

Barcellona – Parigi

Lascio l’ostello verso le 8.00 e mi avvio per la sonnecchiante Barcellona. L’aria è fresca, per le strade i reduci dei bagordi della sera prima. Mi infilo in un baretto, godendomi una breve colazione ordinata con il mio zoppicante spagnolo. Un uomo di mezza età siede ad un tavolo in compagnia di una tazza di caffè fumante. Legge silenzioso un giornale. Solo una decina di anni fa non avrei fatto caso ad una simile scena. È paradossale, ma è sempre più raro nell’epoca degli smartphone.

Ore 10:00, sono di nuovo a Sants. Proprio come in aeroporto, i binari per i treni a lunga percorrenza sono accessibili previo screening di sicurezza. I bagagli vengono controllati ai raggi x e i passeggeri “sospetti” scansionati con un metal detector portatile.

Mi attende al binario il convoglio per Parigi: un sinuoso e ronzante TGV. I tecnici stanno rifornendo le cisterne dell’acqua, come suggerisce il lungo tubo collegato ad uno dei vagoni: l’allacciamento perde un po’ e c’è una gigantesca pozza.

Lasciamo Sants, il convoglio sfreccia rapido verso nord, in un viaggio che regala emozioni: dalla Catalogna saliamo verso la Provenza, lasciandoci alle spalle il mare. È possibile ammirare i Pirenei in tutta la loro maestosità, confine naturale tra la penisola iberica e la Francia.

Alle 18:00 circa il treno fa il proprio ingresso nella maestosa capitale francese. Siamo nel perimetro cittadino e procediamo a velocità ridotta. Sono trascorsi vent’anni dall’ultima e unica volta che son stato a Parigi con i miei genitori.
Il cielo è grigio, gocce di pioggia scivolano lungo i finestrini ed una leggera foschia avvolge gli edifici della Ville Lumiere.

Concludiamo la nostra corsa alla stazione Gare de Lyon. È uno dei terminali ferroviari della capitale, serve in particolare le tratte provenienti da sud. Ed è gigante.
Ho prenotato l’albergo vicino all’altra grande stazione parigina – Gare du Nord – dovendo partire da lì. La metro è il mezzo più comodo per raggiungere la destinazione.

Mi guardo un po’ attorno, spaesato, alla ricerca delle indicazioni per la Metrò. È una della stazioni più trafficate in cui abbia avuto il piacere di transitare. Nulla di comparabile a quel crocevia che è Victoria Station a Londra, però simile.

Trovo finalmente la via, percorrendo svariate scale mobili in un dedalo a tre dimensioni. Mi dirigo al distributore di biglietti e compro un giornaliero. Mi pare un prezzo ragionevole ed è la soluzione più adeguata, visto il poco tempo a disposizione.
Salgo a bordo di uno dei treni periferici alla volta di Gare du Nord.
Osservo distrattamente la gente e già noto marcate differenze con i barcellonesi: i parigini sono più seri e corrono molto di più. Sembrano tutti di fretta. Tipico delle capitali.

Arrivo a destinazione. Anche Gare du Nord è imponente e vasta, tuttavia riesco in qualche modo a riemergere all’esterno. Sono su Rue de Dunquerque, la via che prende il nome dalla famosa battaglia di Dunkirk.
Mi soffermo qualche istante ad ammirare la facciata della stazione, veramente imponente. Un po’ come tutta Parigi, mi pare di capire. La famosa grandeur, non a caso!

L’albergo è poco distante. Minimale, moderno. Non economico in senso assoluto, ma decisamente in senso relativo: Parigi è costosa.
Vengo accolto da un gentile signore alla reception che mi da il benvenuto e consegna le chiavi. Camera essenziale, pulita e razionale.
Approfitto del bollitore per farmi un te, dopodiché mi faccio una doccia e sono pronto per la cena.

Dopo una rapida ricerca in zona ho deciso di puntare sulla Brasserie Bellanger. Le foto sanno di tradizionale e tipicamente parigino.
Vengo accolto e invitato a sedermi al bancone, posizione che garantisce una visuale privilegiata sui cuochi. Sono una decina e con grande dedizione e frenesia preparano portate di ogni tipo.
La giovane cameriera prende l’ordine, fortunatamente parla un po’ di inglese e riesco a completare dove il mio pessimo francese non arriva. È gentile.

Mentre attendo il mio piatto ho modo di ammirare il locale: Eleganti maioliche decorano le pareti in modo discreto, con il pavimento abbellito da squisiti mosaici. Il velluto, di un sofisticato cremisi, è presente in abbondanza.

La mia cena è un preparato di verdure molto saporito e leggero, con l’immancabile senape a corredo. Anche qui rosso della casa d’obbligo. Possibile mi abbiano offerto un vino immondo, ma non ho il palato fine per queste cose e me lo godo.
Concludo con un espresso di tutto rispetto, alla faccia delle maldicenze sui caffè oltreconfine.
Saluto e mi incammino in una Parigi accarezzata da un’aria fresca e pulita. Vorrei sfruttare al meglio il biglietto giornaliero per vedere finalmente la Tour Eiffel che, a dispetto di quanto lascino intendere a Hollywood, non è visibile da ogni angolo di Parigi. Infatti non la vedo.

Una combinazione di metro e treni mi porta fino all’Île de la Cité. Ammiro Notre Dame dalla distanza. E’ purtroppo cordonata dopo il catastrofico incendio di qualche mese fa. Cammino lungo la Senna, un Bateau Mouge solca le sue acque controcorrente.

Arrivo fino al Musee d’Orsay. Come buona parte degli edifici della città è gigantesco. La Grandeur!
Aspetto un bus che sembra non arrivare mai e, quando sto per abbandonare l’impresa e dirigermi mesto verso la metro, eccolo che compare all’orizzonte. Salgo a bordo e presto sono a Champ de Mars.
Ed è lì, in tutta la sua elegante imponenza, che svetta la Tour Eiffel. Fa sentire minuscolo lo spettatore. Opera ingegneristica criticata in ogni modo, paragonata tra le tante cose ad un fallo, è spettacolare. Illuminata da cima a fondo, brilla nella notte di un colore dorato. In alto, sulla punta, due fari ruotano lentamente, opposti tra loro, squarciando le nuvole.
Mi ritrovo per puro caso ad assistere al consueto spettacolo della sera: allo scoccare di ogni ora le luci stroboscopiche che ricoprono la torre si accendono per cinque minuti, facendola brillare.
Me ne rientro in albergo dopo aver percorso ben più strada del previsto, ma ne è valsa la pena!

Parigi – Amsterdam

È ora di lasciare Parigi. Una piacevole colazione a base di cappuccino e pain au chocolat a Gare du Nord è quel che ci vuole, prima di salire a bordo del prossimo treno.

Il treno Thalis per Amsterdam è pronto per la partenza. Si va!
Anche questa tratta è ad alta velocità, con un panorama piuttosto privo di sorprese. L’unica nota di rilievo è forse l’Euratom di Bruxelles, ben visibile mentre attraversiamo la capitale Belga.
Non fermandoci, non ho nemmeno il tempo di una birra d’abbazia. In poco tempo siamo già ad Amsterdam Centraal.

Ho appuntamento con Reiner, ex collega ai tempi del mio primo lavoro in Svezia. Mi aspetta nella città di Almere, che dista una trentina di chilometri dalla capitale. Acquisto il biglietto del treno metropolitano presso i distributori automatici, salgo sul treno vuoto e in una ventina di minuti sono ad Almere Centrum.

Esco dall’anonima stazione ed un vento brutale spazza la piazzola esterna, frustando gli alberi e sollevando foglie e spruzzi d’acqua dalle pozzanghere. Questo maltempo ha colpito negli ultimi giorni la Gran Bretagna e parte del Nordeuropa, causando ingenti danni e disagi, tra cui treni cancellati soprattutto in Germania. Temo il peggio per i prossimi giorni, visto che il prossimo treno passerà proprio da lì.
Ora comincio a riconoscere il clima nordeuropeo che fino a Parigi non si sentiva.
Un attimo di silenzio, accompagnato da una lacrima, al ricordo del sole di Barcellona, visitata solo un paio di giorni fa.

Reiner è venuto in auto, molto cortese. Saliamo a bordo e chiacchieriamo del più e del meno. Ci aggiorniamo sugli ultimi avvenimenti, sul mio viaggio, sul lavoro mentre percorriamo una strada ad alto scorrimento deserta, con un vento incessante che fa ondeggiare l’auto.
Arriviamo nel parcheggio di casa. Ad accogliermi Cathy, la compagna, che non vedo da almeno un paio d’anni, e la nuova nata Amelia. Gentilissimi, hanno lasciato per me del pesce impanato e del guacamole che divoro in tempo zero, senza pudore.

Con loro trascorro un paio di piacevoli giornate a ricordare i tempi trascorsi insieme. Discutiamo della vita all’estero, delle differenze tra Svezia e Olanda e della loro nuova avventura da genitori.
Sfruttiamo l’occasione data dal tempo pessimo per preparare dei ravioli fatti in casa. Ci voleva, dopo tanto tempo in solitaria.

Ci diamo la buonanotte e vado a letto. Un’ultima notte da loro e il giorno dopo parto per la tratta più lunga.

Amsterdam – Copenhagen

Alle ore 10:00 sono puntuale ad Almere Centrum grazie al passaggio di Reiner. Lo saluto con un forte abbraccio e ringrazio per il tempo trascorso insieme.

Il treno regionale per Amsterdam Centraal mi porta in una mezz’ora nella capitale. Sono in leggero anticipo, mi faccio così due passi all’aria aperta ammirando la città dalla distanza. Il tempo è stato poco, non l’ho potuta visitare. Tornerò.

Rientro nella stazione e mi dirigo con calma al binario, ancora vuoto. Ecco che arriva il treno ICE per Berlino.
Il viaggio di oggi è il più impegnativo: pur essendo diretto verso la capitale tedesca, il treno ferma ad Ösnabruck HBF. Lì salirò a bordo di un altro treno diretto ad Amburgo. Una volta ad Amburgo, treno per Copenhagen.

Tutto questo casino per una semplice ragione: il servizio di traghetto è stato definitivamente sospeso ed il treno compie un percorso ben più lungo sulla terraferma. Pare che la ragione sia l’avvio dei lavori di costruzione del Fehmarnbelt tunnel, un tunnel sottomarino che attraverserà lo stretto di Fehmarn, sostituendo il collegamento via traghetto. Mi sarei aspettato la dismissione del servizio a lavori ultimati, ma tant’è.

Il viaggio per Ösnabruck è per la prima metà tranquillo: treno quasi vuoto, convoglio in orario. Sono un po’ in apprensione per le coincidenze: venti minuti ad Ösnabruck, quaranta ad Amburgo.
Ad Amburgo è facile: il tempo è abbondante e la stazione è ben organizzata. Inoltre ormai la conosco essendoci passato un paio di volte.
Ösnabruck presenta invece una particolarità: essendo il crocevia delle linee est-ovest e nord-sud ha una pianta a croce. I binari si intersecano su due livelli separati, il che richiede – presumo – un po’ più di tempo per il cambio di treno.

I primi problemi sorgono a metà viaggio, quando viene annunciato un leggero ritardo. Effettuiamo una sosta di dieci minuti presso una delle stazioni: cinque poliziotti salgono a bordo e perquisiscono dettagliatamente i bagagli di due giovani passeggeri. L’operazione ci fa accumulare un ritardo di venti minuti, che è esattamente il tempo di coincidenza.
Per tutta la durata del viaggio tengo ossessivamente sotto controllo la app delle DB per capire l’andamento del treno ed eventuali ritardi. Sembra che il treno successivo sia in orario, il che non lascia troppe speranze. La stessa app specifica che il treno sarà in attesa di un non meglio precisato “treno successivo”. Forse che attenda noi?

Socializzo con un gruppo di viaggiatori, anch’essi visibilmente in apprensione. Come me sono diretti ad Amburgo e sperano nella coincidenza. Si tratta di una signora Danese e di una coppia olandese.
Cerchiamo di mantenere alto lo spirito, complice la app delle DB che definisce “probabile” la possibilità di riuscire a prendere il treno successivo.
Siamo ormai alla fatidica stazione con più o meno un minuto di margine. Ci prepariamo sulle porte, corridori sulla griglia di partenza.
Il treno si arresta, le porte si aprono con una lentezza esasperante. Comincia la corsa: ci fiondiamo verso il treno successivo, scusandoci con i passeggeri in sosta per il trambusto che causiamo. Maledico la conformazione a croce della stazione. Saliamo le scale seguendo le indicazioni per il binario, poi tutto a destra, scendiamo altre scale e risaliamo per arrivare finalmente al binario e… il treno non c’è. Spaesati, ci domandiamo se sia in ritardo. Apparentemente no: gli altri passeggeri ci confermano che è appena partito. Ovviamente puntualissimo.

Sconsolati e visibilmente esausti imprechiamo in modo internazionale: in italiano, olandese, danese. Per correttezza anche in inglese.

Ci dirigiamo mesti verso lo sportello assistenza e ci mettiamo in coda per capire come muoverci. Altro non si può fare.
Dopo una discreta attesa è finalmente il nostro turno: il personale è cortese e ci viene fornito un biglietto alternativo a costo zero per il prossimo treno verso Copenhagen. Problema: un treno diretto non c’è fino a domani, quindi anziché un ulteriore cambio ne dovremo fare altri tre. Come non bastasse, l’arrivo previsto non sarà ovviamente alle ventuno e trenta, ma all’una e trenta di notte. Accidenti, come se non fosse un viaggio già lungo!
In compenso abbiamo diritto ad uno sconto del 50% sul costo totale. Magra consolazione.

Attendiamo il treno successivo facendoci tutti compagnia e conoscendoci un po’: la coppia di ragazzi olandesi ha deciso di viaggiare in treno per il Nordeuropa, partendo da Amsterdam. Hanno deciso di trascorrere un anno sabbatico. Non un ottimo inizio, direi. (nda: il viaggio risale al 2020 ma la pubblicazione è avvenuta nel 2023. Nel 2020 la pandemia era ancora lì da venire).
La signora danese parla poco, non si capisce se per carattere o scelta. Di lei non scopro molto, se non che vive a Copenhagen. Sembra una signora gentile.

Il treno finalmente arriva e da qui il lungo, interminabile viaggio verso Copenhagen: tre treni più una tratta intermedia in bus a causa di lavori di riparazione: un albero è caduto sui cavi elettrici a causa del maltempo. Uno stop ad Amburgo dove salutiamo i ragazzi olandesi, mentre io e la signora ci prendiamo un caffè in attesa del treno successivo.
L’epico viaggio si conclude con l’arrivo nella capitale danese che mi accoglie buia, silenziosa e gelida. È l’una di notte e saluto la signora. “Scrivimi quando passi da Copenhagen. Buona fortuna!”. La abbraccio e mi incammino nella notte, fino ad arrivare all’ostello.
Mi trascino per le scale verso la reception, che è aperta tutta la notte. Effettuo il check-in e faccio appello a quel poco di forze che mi rimangono per portarmi nella camerata. Sì, perché dopo un viaggio di ore una camerata da dodici è quello che ci vuole. Scelta senza pensarci troppo, pagata poco ma forse non era il caso, vista l’evoluzione del viaggio. Bravo!
Nell’oscurità e facendomi luce con il led dello smartphone trovo il mio letto. Ovviamente letto a castello, ovviamente occupato da un altro ospite. Prendo il posto sopra – fortunatamente libero – e crollo esausto.
C’è di bello che da stanchi si dorme un gran bene, anche in camera da dodici…

Mi sveglio con calma, la partenza del treno per Stoccolma è programmata per dopo pranzo.
Mi faccio una colazione in un baretto in zona ostello e passeggio un po’ per la città. Il clima mal si presta a lunghe camminate, tuttavia Copenhagen è sempre una bella capitale.
Una volta in stazione è ora di salire a bordo dell’ultimo treno del viaggio, il diretto Copenhagen – Stoccolma.

Copenhagen – Stoccolma

L’ultima tratta del lungo percorso, sebbene priva di eventi degni di nota, ha una valenza profonda.
Quest’ultimo viaggio conclude una fase della mia vita durata quasi un anno. Ad Aprile mi lasciavo Stoccolma alle spalle nel dubbio e nell’agitazione, il tutto per vestire i panni del campagnolo in Italia.
Ora torno con un sorriso: ammiro la sconfinata natura scandinava che scorre fuori dal finestrino e penso alle persone riviste, alle persone conosciute, alle esperienze vissute. Alla fine tutto è andato per il meglio.

Per raccontare gli effetti di quest’esperienza ci vorrebbe un articolo a parte, da tanto che è stata curativa. E l’ho realizzato solo ad esperienza compiuta di averne bisogno.
Non sono divenuto un contadino, eppure va bene così: ciò che conta non è sempre raggiungere il luogo prefissato, ma il viaggio in sé. E chissà che la meta finale del viaggio – seppur diversa da quella decisa – non ci renda in ogni caso felici.

(se ne volete sapere di più non esitate a scrivermi)

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Nicola “spidernik84”, si è trasferito nel Settembre 2010 a Stoccolma, in Svezia. In questo blog troverete il resoconto della sua avventura in terra scandinava, un lungo viaggio alla ricerca di un impiego e di nuove opportunità, ricco di avventure inconsuete e testimonianza delle sorprese che un trasferimento all’estero presenta. Ad inizio 2019 lascia temporaneamente la Svezia per un periodo sabbatico nel circuito WWOOF.