Svezia

Diario svedese – scritto n.16: Skatteverket e personnummer

Questo scritto è il numero 16 di 69 dell'antologia Diario Svedese

L’autore trascorre la prima notte nel nuovo ostello. Appuntamento allo skatteverket.

Dopo una sofisticata ed elaborata cena a base di uovo al tegamino, insalata, pomodoro, formaggio e immancabile mela del Sud Tirolo, torno in camera per scoprire che non sono più solo. Faccio la conoscenza di una coppia di francesi di Lille, inaspettatamente simpatici e cordiali. Dopo circa un’ora ho il piacere di conoscere il terzo coinquilino, un ragazzo di colore.

Mi chiede in prestito il portatile per controllare il profilo di Facebook. Nel frattempo chiacchiero un po’ con lui del più e del meno, domandandogli da dove arrivi:
“I’m from Tanzania, maaan”
“Oh, nice!” rispondo incuriosito.
“Do you know where it is, maaan?”
“Oh, sure, Africa” replico stando sul vago. L’Africa è grande. “What are you up to, here?” gli chiedo.
“I screwed up with some girls, maaan!” ride soddisfatto. “I’m married, bro!”.
Sorpreso, cerco di scoprire di più: “Married? How old are you? How long have you been here, bro?”. Il suo slang da rapper emancipato dei sobborghi mi ha già contagiato.
“I’m 21 mate. Yeah, ya know man, I had to marry a swedish girl to stay here, I found a job just now after six months!” spiega divertito. Tagliato, l’amico africano!
Mi ridà il portatile. Lo infilo senza dare nell’occhio nella custodia, insieme ai cellulari, al portafogli e al passaporto. Meglio dormire abbracciati alle mie risorse, non si sa mai che il “fratello” si prenda un souvenir.

L’indomani.

Mi desto con la sveglia dei due ragazzi Francesi verso le 7.30, decidendo di prendermi una mezz’oretta di sonno in più. La fastidiosa suoneria hip-hop dell’amico Tanzano, evidentemente molto richiesto fin dalla prima mattina, mi costringe a rivedere i miei piani. Scendo a fare colazione e mi dirigo allo Skatteverket: è il giorno del personnummer, il codice fiscale!
L’ufficio apre alle 10.00, dovrò aspettare un’ora. Fortunatamente l’arrivo in anticipo mi garantisce la terza posizione in fila. Faccio la conoscenza di un parigino, di un musicista Afgano particolarmente socievole e di una taciturna Ucràina.
Compare nella fila un altro Afgano con sospetti problemi mentali. Basso, tarchiato e dall’età incerta, blatera qualcosa in modo sconclusionato fumando sigarette a raffica. Ad un tratto decide di omaggiare i presenti con un fuori programma: tossisce vistosamente e sputacchia litri di catarro e saliva sul marciapiede per un minuto buono. Irritato, scaglia l’accendino dall’altra parte della strada, suscitando il profondo fastidio dell’intera coda, specie del parigino, e il sincero ed incomprensibile ludibrio di due ventenni mediorientali, piegati in due dalle risate. Evidentemente le fonti di divertimento scarseggiano, ad est del Mar Caspio.

Alle 9.45 si materializzano, al di là della porta, due guardie delle dimensioni di un armadio munite di manganelli e altri attrezzi adibiti alla “stimolazione dei centri del dolore”. A separarmi da loro vi è soltanto la porta a vetri. Nella speranza che gli amici di Kabul evitino spinte troppo vigorose, attendo teso le 10.00.
Una delle guardie armeggia con le serrature, per poi indietreggiare di un paio di passi dalla porta e fare un cenno alla ragazza dietro il bancone. La porta si apre e le guardie ci sorridono: “God dag!”. Fortunatamente non vi sono spargimenti di sangue e giungo allo sportello sulle mie gambe.
Aggancio con abilità una gentile ragazza bionda che, con uno scintillante sorriso da spot del dentifricio, mi chiede di cosa abbia bisogno.
“Personnummer, tack!”
“Good, how long are you staying?”.
“Three months!” rispondo prontamente.
“Three months? I’m sorry, it’s either one year or more!”
Scarto l’imprevisto: “Ok, i’m staying one year, then!”
“Ok! here’s your ticket”. Pigia sapientemente lo schermo di un iPod touch. In una frazione di secondo una stampante di etichette sul bancone sputa un bigliettino: B203. Fico, sono già terzo in coda! Ci vorrà un attimo!

Mi consegna il modulo da compilare. Scrivo e, nel frattempo, sento i “beep” dell’avanzamento della coda in sottofondo. Accidenti, ma sono velocissimi!
Concludo la compilazione e siamo già al  B222. Con venti sportelli a pieno regime è difficile attendere troppo. Altro che Poste Italiane!
Fermo un ragazzo domandandogli se vi sia una remota possibilità che il mio numero ritorni:
“I’m sorry” risponde sorridendo “I have to make you another number!”. Armeggia con il suo aggeggio. “Oh, you’re lucky! There’s just four people ahead of you!”.
Gran c*lo!
E’ il mio turno, mi precipito allo sportello e saluto l’amico operatore,  originario dell’India. Mi guida cordialmente nella compilazione degli ultimi moduli e mi dà l’arrivederci. “You’re done! Have a nice day!”.
Richiesta del personnummer effettuata in un tempo record di venticinque minuti (attesa di un’ora fuori dall’ufficio esclusa). Non male! Stando ai racconti degli altri amici Italiani si è costretti a trascorrere attese medie di quattro-sei ore.
E ora, vediamo quanti mesi serviranno per ricevere il numerino a casa.

Vi ses!

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Nicola “spidernik84”, si è trasferito nel Settembre 2010 a Stoccolma, in Svezia. In questo blog troverete il resoconto della sua avventura in terra scandinava, un lungo viaggio alla ricerca di un impiego e di nuove opportunità, ricco di avventure inconsuete e testimonianza delle sorprese che un trasferimento all’estero presenta. Ad inizio 2019 lascia temporaneamente la Svezia per un periodo sabbatico nel circuito WWOOF.